Recensione Wolfenstein: The New Order

Il Nuovo Ordine di Bethesda e Machine Games mescola un gameplay brutale e diretto ad una narrazione eccezionale.

Wolfenstein: The New Order
Recensione: PlayStation 4
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Disponibile per
  • Xbox 360
  • PS3
  • Pc
  • PS4
  • Xbox One
  • Bethesda ci ha abituato alle sorprese. Nel suo impegno come publisher, la software house è sempre andata alla ricerca di prodotti che avessero un carattere deciso, ed è riuscita a valorizzare in maniera esemplare gli sforzi creativi di team con tanto talento e poca visibilità. Sotto la sua supervisione, Arkhane Studios è riuscita a sfornare quel capolavoro di Dishonored, e adesso è la volta di un altro prodotto che raggiunge picchi qualitativi ben superiori alle aspettative.
    Sviluppato da MachineGames, gruppo svedese all'esordio, Wolfenstein: The New Order segna il ritorno sulle scene degli sparatutto classici, abbracciando una concezione di FPS volutamente “anzianotta”. E' forse proprio per questa sua vicinanza ai titoli di venti anni fa -per questo suo insistito classicismo- che il gioco è sempre rimasto un po' in sordina. Eppure, arrivando su PC e Console (di vecchia e nuova generazione), The New Order dimostra non soltanto che dinamiche così datate possono ancora risultare divertenti ed efficaci, ma che è possibile intrecciarle felicemente con una narrazione forte e decisa. L'aspetto veramente sorprendente di Wolfenstein, insomma, è proprio questa sua capacità di raccontare una “fantastoria” riuscita ed emozionante, con soluzioni originali ed una splendida caratterizzazione del mondo di gioco.

    Ucronia

    Wolfenstein: The New Order scombussola i lineamenti narrativi della serie storica per ripartire da zero. Al centro della scena c'è sempre William Blazkowicz, roccioso sergente dell'esercito americano: i fatti di questo vero e proprio “reboot” cominciano nel 1944, con il contingente degli alleati in netta difficoltà a tener testa alla macchina da guerra nazista. Il titolo firmato MachineGames ci presenta fin da subito un'ucronia ben caratterizzata, mescolando le suggestioni belliche del secondo conflitto mondiale con una leggera ossessione per il dieselpunk, che qui si manifesta nella forma di enormi macchine da guerra, segugi meccanici, spietati robot da battaglia.
    Gli eventi prendono una piega inaspettata dopo la lunga introduzione che porta ai titoli di testa: il nostro protagonista si becca una scheggia metallica nel cervello, e finisce in uno stato catatonico per ben sedici anni. Quando si risveglia, in un manicomio polacco, è il 1960: i nazisti hanno vinto la guerra, esteso il proprio dominio su tutta l'Europa, e portato avanti il loro folle progetto di purificazione razziale, nei campi di lavoro così come nei folli esperimenti genetici degli scienziati del Reich.
    Blazkowicz non si dà per vinto e parte alla volta di Berlino, convinto di poter resuscitare una resistenza ormai stramazzante, liberando i dissidenti dalle prigioni di stato. Comincia la storia di rivalsa del sergente e dei suoi compagni: un racconto lungo e intenso, scritto in maniera veramente eccezionale. Fin dai primi momenti la trama di questo nuovo Wolfenstein esibisce una discreta forza espressiva e rivendica la sua priorità nell'economia della produzione: poco a poco è proprio il plot che emerge, grazie ad una sceneggiatura tenutissima e vivace. E' persino difficile crederci, ma The New Order riesce a far convivere più che felicemente testosteroniche esplosioni di machismo bellico (quello dei film di Sly e Arnold), con momenti intimi e toccanti di vita quotidiana, collocando il tutto sullo sfondo delle atrocità di una società dominata dal mito della razza pura. Ci sono scene veramente forti, che colpiscono come un pugno allo stomaco, potenti e disturbanti ben più delle fosse comuni di Homefront. Ma c'è anche la retorica -più leggera- del soldato di ferro, nato per ammazzare i nazisti e seminare distruzione. Queste due linee narrative si combinano in una strana “esaltazione vendicativa”, tanto più forte quanto più terribili saranno le scelleratezze compiute dagli uomini di Deadshead.

    Quella di The New Order è anche una bellissima storia di resistenza, fatta di personaggi che hanno perso tutto, di sacrifici e di speranza, di nervosismi e ossessioni. Il titolo pubblicato da Bethesda, insomma, è l'esempio lampante che pure gli sparatutto in prima persona possono intrecciarsi con un racconto forte, tonante. Attraversato da un rintocco funereo, da una nota malinconica che esploderà in un finale sintetico e roboante come un colpo di cannone, il plot è di quelli memorabili: ha solo qualche caduta di stile nei (rari) momenti in cui la componente paranormale si fa sentire con troppa risolutezza, ma resta sempre brillante e ben scritto. Ogni singola linea di dialogo, ogni motto salace, ogni ricordo che affiora alla mente del protagonista, è l'ingranaggio di una struttura narrativa calcolatissima, che si prende notevoli libertà registiche e lavora in maniera esemplare sui ritmi del racconto.
    Alla fine delle sedici ore necessarie per completare l'avventura principale, sarà davvero facile sentire la voglia di ripartire da capo, solo per scoprire come cambierà il racconto dopo la scelta scellerata che saremo costretti a compiere nei primi momenti di gioco. La presenza di due “cronologie” distinte e parallele è solo l'ultimo tocco di classe di un titolo che vanta una caratterizzazione smisurata: nei poster appesi alle pareti, nelle conversazioni che riusciamo ad origliare, nelle dissertazioni filosofiche dei nostri compagni e persino nella ragnatela di testi, lettere e collezionabili, c'è il marchio di un lavoro creativo inesauribile, perfetto per costruire una storia alternativa credibile e dura, che fa concorrenza a quella de La Svastica Sul Sole.

    "Nazisti Morti, Robot Morti"

    Nella sostanza, Wolfenstein è uno sparatutto in prima persona che sembra la diretta evoluzione di quelli degli anni '90. Diretto, veloce, martellante: un titolo in cui contano prontezza di riflessi e mobilità.
    Non cercate la “morbidezza” del control scheme di quegli FPS nati con in mente il mercato console, perché qui, in fondo in fondo, si avverte ancora il “culto dello strafe laterale”, che anima una sensibilità un po' scattosa e l'aggressività quasi ossessiva dei nemici. Alcuni dei momenti più riusciti di The New Order sono proprio quelli in cui il titolo esibisce questo suo amore incondizionato per il massacro. Impugnando due fucili a pompa si attraversano i corridoi infestati di nemici, dilaniando soldati corazzati e generali con raffiche interminabili di schegge e proiettili. In questa concreta violenza, nelle teste che esplodono e nel rinculo potente delle armi, c'è la stessa, galvanizzante esaltazione che affiorava nel gameplay di Rage (animato del resto dallo stesso idTech 5 e anche lui inchiodato a 60 frame al secondo).
    Per fortuna, MachineGames ha lavorato attorno a questa base, per costruire uno shooter che potesse essere più vario e strutturato. Troviamo così un buon numero di situazioni in cui è incentivato l'approccio stealth: avanzando non visti tra le mura dei complessi nazisti, si devono far fuori i generali prima che possano dare l'allarme, pugnalandoli alle spalle oppure bucandogli il cranio con un colpo di pistola silenziata. Ci sono, nel corso del gioco, un paio di momenti in cui l'avanzamento silenzioso è l'unico possibile: qui, per evitare il “trial & error”, il team ha preferito smussare la difficoltà e rendere le guardie davvero poco determinate. Si tratta forse delle fasi meno riuscite del gioco, che mettono in luce in maniera ancora più evidente i limiti di un'IA non proprio sveglissima. Ma quando invece la componente stealth si amalgama e si integra con l'avanzamento classico, tutto funziona a meraviglia. Riuscire a ripulire un'area senza essere visti dà grandi soddisfazioni, ma nel caso di un errore basta tirare fuori una coppia di mitra e fucilare all'istante i cari nazisti.

    La facilità con cui è possibile passare da ritmi ragionati a momenti di fuoco, semplicemente selezionando dalla Wheapon Wheel un'arma più consona alla “blastazione”, sottolinea l'ottimo lavoro del team in fase di design. I livelli sono composti da aree indipendenti piuttosto estese, che possono essere attraversate ad armi spianate -cercando di non restare fermi nella stessa posizione-, oppure esplorate con cura, sorvegliando i movimenti delle guardie.
    L'avanzamento, in Wolfenstein, è in buona sostanza un'operazione sul ritmo di gioco, che garantisce un'eccezionale varietà di situazioni. Nel mezzo dell'avventura ci sono fasi molto più rilassate, con un'impronta esplicitamente narrativa, che ricordando proprio quelle di Escape from Butcher's Bay e del primo The Darkness: del resto il team MachineGames è stato fondato da ex-membri di Starbreeze. Combinata con dinamiche da shooter sicuramente più fluide, trascinanti e riuscite di quelle del Riddick videoludico, l'esperienza dei designer ha prodotto un titolo che spicca e convince.
    Quasi tutto è al posto giusto: il sistema di coperture che permette di sporgersi dai ripari non risulta posticcio, ma anzi discretamente funzionale quando si è in inferiorità numerica; la gestione della vita che non si ricarica mai completamente -e ci costringe a raccogliere medipack e frammenti di corazza per proteggerci dalle raffiche avversarie- è orgogliosamente diversa rispetto a quella degli sparatutto “all'acqua di rose” degli ultimi anni; il livello di sfida è alto e stimolante, anche se in effetti l'Intelligenza Artificiale è abbastanza spicciola. Assieme ad una lievissima linearità che emerge a tratti, questo è uno dei pochi difetti di The New Order: un titolo che risplende nel panorama degli sparatutto, riportando in auge un paradigma classico che ha ancora moltissimo da dire.
    In Wolfenstein, poi, ci sono non solo un sacco di collezionabili interessanti, ma pure un sistema di sviluppo del personaggio legato ad una serie di obiettivi. Per potenziare il vostro Blazkowicz, insomma, dovrete cercare di dare il meglio in ogni situazione: nel combattimento tattico, sporgendovi dai ripari, così come nell'infiltrazione e nel massacro più diretto ed “esplosivo”.
    Esplorando gli ambienti di gioco, si scopriranno non solo frammenti del codice enigma e oggetti d'oro, ma anche moduli per potenziare le vostre armi, in una progressione stimolante e ben tenuta fino alla fine, quando tutta la verve blastatoria del titolo emergerà potentemente in un crescendo di fucilate e violenza.

    Dalle ceneri di Rage

    The New Order, insomma, viene sorretto integralmente da questa sua inaspettata duplicità, che si estende al comparto narrativo come a quello ludico. La trama sa essere al contempo delicata e brutale, mentre il gameplay violentissimo si abbandona a tratti alle gioie dell'esplorazione e ad una progressione meno diretta.
    Dal punto di vista tecnico, svetta soprattutto il lavoro di caratterizzazione. Il mondo di gioco è stato costruito con una meticolosa attenzione ai dettagli, e la densità di riferimenti alla cultura filo-nazista di questa “allostoria” è inimmaginabile. Ritagli di giornale, poster di propaganda, persino dischi registrati in tedesco (avete mai sentito “The House of the Rising Sun” in lingua teutonica?): il team si è dato da fare per raccontare anche visivamente il “nuovo ordine” dell'impero ariano.
    Passando a texture e poligoni, il look di Wolfenstein è davvero molto simile a quello del già citato Rage, e del resto le specificità del motore di idSoftware sono subito riconoscibili. La potenza computazionale delle console di nuova generazione ha permesso di ottimizzare moltissimo l'engine, e adesso non c'è più il pop-in delle texture, e gli unici problemi riguardano i tempi di caricamento ancora estesi. Pur senza gli effetti particellari e la risoluzione che si riesce ad ottenere sui PC più recenti, Wolfenstein dimostra solide performance: gli scheletri poligonali dei personaggi sono un po' semplici ed alle volte persino spigolosi, e di tanto in tanto, soprattutto nei primi piani, Wolfenstein sfigura di fronte ai (pochi) colleghi next-gen (Battlefield 4 e Killzone: Shadow Fall). Ma quando poi si passa all'azione, la fluidità inchiodata ai 60fps dall'inizio alla fine permette di chiudere un occhio su qualche texture poco definita e sul riuso di alcuni elementi architettonici nella costruzione di certe sezioni degli stage.
    Non facciamo mistero che, a livello grafico, Wolfenstein non sia un titolo miracoloso, ed anzi che in certi momenti gli entusiasmi siano frenati proprio dall'impassibilità dei volti o dalle animazioni legnose. Però nel complesso il colpo d'occhio funziona, sia negli ambienti chiusi che in quei rari casi in cui la profondità di campo si allarga a dismisura. Mancano gli effetti speciali tracotanti, i particellari, l'effetto meraviglia, ed in generale tutto quello che manca ai titoli cross-gen, ma queste carenze sono compensate in parte dal minuzioso lavoro di caratterizzazione.
    Davvero ottimo il doppiaggio italiano curato da Synthesys, non fosse che i livelli delle voci sono troppo bassi rispetto a quelli degli effetti e della musica (e la povertà delle opzioni non permette di aggiustare questa situazione). L'interpretazione degli attori è comunque sempre espressiva, la qualità recitativa più che buona, la scelta delle voci adeguata. La colonna sonora ha un paio di brani che, forse proprio perchè sono legati a momenti epici e toccanti, tendono a restare impressi nella mente del giocatore, accompagnati da un'altra serie di tracce un po' meno brillanti che invece contrappuntano le scene d'azione. Nelle sequenze di intermezzo, emergono le note di un accompagnamento che schizza dalle sonorità Rockabilly a quelle del Country, componendo un impasto sonoro "di rottura", che si accompagna in maniera brillante con una regia sempre coraggiosa.

    Wolfenstein: The New Order Wolfenstein: The New OrderVersione Analizzata PlayStation 4Immaginiamo una storia videoludica alternativa, in cui Doom avesse continuato a vendere milioni di copie e l'entusiasmo per Call of Duty si fosse spento inesorabilmente. Wolfenstein: The New Order è come il figlio di quest'epoca solo immaginata, in cui gli sparatutto sono brutali, violenti, diretti, fatti di fucilate in faccia e non di headshot, e di scontri estenuanti in cui si consumano quintali di caricatori. Per molti, oggi, è facile sostenere che le meccaniche di gioco messe in piedi da MachineGames siano un po' datate, superate. Ma in verità, anche nella sua limpida esibizione di un massacro spesso “frontale”, The New Order diverte, risultando difficile e stimolante anche al netto di un'IA non proprio brillante.La vera forza del titolo sta in questo suo cercare costantemente soluzioni alternative: sequenze stealth, momenti solo ed esclusivamente narrativi, variazioni alla formula classica. La lunga avventura del nuovo Wolfenstein non ha quasi mai fasi di stanca, tempi morti, e si intreccia con una storia che sa far coesistere temi diversissimi. L'orrore della guerra e dell'etica nazista, l'esaltazione per un militarismo esplicito e vendicativo, ma anche i toni delicati e toccanti del racconto di resistenza, trovano spazio in un'avventura ben tenuta, la cui sola colpa è quella di avere un comparto tecnico già superato dalle avanguardie della Next-Gen. Resta un titolo da giocare, anche solo per ricordarsi che esistono altri modi di intendere gli sparatutto in prima persona.

    8.8

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